IL GRUPPO DEI MASCI DI REGGIO CALALBRIA

ORGANIZZA UN CONVEGNO

NEL SEGNO DI DON TONINO BELLO

18.01.20



Ho dedicato il mio intervento a riflettere sul rapporto di don Tonino col convento cappuccino di Alessano, con i frati cappuccini e sulla sua spiritualità francescana.



Don Tonino era un “abitué” al convento dei cappuccini di Alessano. Di questa abituale frequentazione io ne sono testimone. Mi successe che, appena ordinato sacerdote, i superiori mi assegnarono alla fraternità di Alessano. Al mio arrivo un frate mi accolse e mi accompagnò a salutare il frate guardiano per chiederne la benedizione.



Arrivati ne corridoio vidi un prete e due frati che conversavano con lui. Dissi al frate che mi accompagnava: «Che ci sta a fare questo prete in convento? Perché non se ne va al suo vescovo?». Appena raggiunto il gruppetto, non ebbi tempo di chiedere il benedicite al padre guardiano che quel prete mi guardò intensamente e disse accogliente:



«Sei tu il frate Francesco che stiamo aspettando?»… Mi sentii nudo e come se mi avesse letto nel cuore! Anche io lo guardai e balbettai: «Beh… veramente io dicevo al frate: Che ci sta a fare questo prete in convento? Perché non se ne va al suo vescovo?». Tutti scoppiammo in una fragorosa risata!



«Beh, va bene. Tu ancora non lo sai. Questa è la mia stanza -indicandomi la porta di una cella- ogni primo venerdì starò qui per il mio ritiro mensile, pregherò e mangerò con voi … Se il buon Dio vorrà, saremo buoni amici!».

Poi venni a sapere che don Tonino era un terziario francescano e la spiritualità francescano-cappuccina la respirava attraverso queste frequentazioni spirituali, oltre che per lo studio che egli faceva della vita e degli scritti di S. Francesco. Nel 1959, mentre frequentava la facoltà di filosofia, si iscrisse al Terz’Ordine francescano e l’uno gennaio del 1962 emise la professione di vita evangelica.



Don Tonino ha vissuto questo convento cappuccino fin da bambino quando sua madre, anche lei terziaria francescana, lo portava ogni giorno per la celebrazione della messa. Da ragazzo in questo convento veniva a confessarsi. Egli scrive: «Il cielo in una stanza… la traduzione musicale di una frase latina che i monaci del convento del mio paese avevano scolpito sullo stipite delle celle: Cella sit tibi coelum, che vuol dire: la cella sia per te come il cielo.»



«Ricordo ancora oggi la celletta del frate, un vecchio missionario, dal quale andavo spesso a confessarmi, col batticuore quando ero ragazzo, lì nel convento dei cappuccini del mio paese…». Questo rapporto con i frati cappuccini, iniziato negli anni della sua giovinezza, divenne sempre più forte e intenso. Vari frati furono suoi confessori.



Rimasi due anni ad Alessano prima di realizzare la grazia e il dono della partenza per la missione del Mozambico. Durante questi anni alessanesi, nacque un’intensa amicizia con don Tonino che durò fino al giorno della sua morte. Ad Alessano in giro di pochi mesi ebbi dal Signore il dono della nascita di un folto gruppo di giovani che, con le loro famiglie, cercavano di scoprire il senso cristiano della vita.



Molto mi aiutò la collaborazione e l’esperienza di don Tonino, io ero allora giovane sacerdote, se quel gruppo di giovani e famiglie si aprirono a scoprire la preghiera, la lettura della parola di Dio e il passaggio dalle parole ai fatti nella vita di ogni giorno.



Ci aprimmo al sociale a scoprire le necessità degli “ultimi” di fianco casa e trovare le forme per farci loro compagni di viaggio.



Con don Tonino ci impegnammo nell’assistenza ai bambini di famiglie disagiate per i quali pagavamo le rette alle case di sostegno a cui li avevamo affidati. Tanta povertà fu alleviata visitando le famiglie di periferia.



Ci sentivamo tutti poveri con i poveri quando giravamo di negozio in negozio per raccogliere capi di vestiario non venduti da offrire a chi ne aveva bisogno.



Pulivamo le case di anziani soli e cucinavamo nelle loro case per condividere una povertà che diventava ricchezza di condivisione. Don Tonino era molto presente in quel cammino che percorrevamo perché era stato nominato assistente diocesano dell’Azione cattolica.



Da missionario il nostro rapporto di amicizia divenne molto saltuario, ma non meno motivato. Ogni volta che tornavo in Italia bastavano poche parole, uno sguardo ed un abbraccio per dirci tutto il nostro percorso in due mondi lontani.



Non posso dimenticare la sua partecipazione ad un convegno missionario a Giovinazzo a cui don Tonino, vescovo di quella diocesi, vi partecipò dando il tono all’incontro. Cercavo di entusiasmare gli animatori missionari a venire in Mozambico per conoscere e vivere la missione. Il tema era: Se scoppia la pace in Mozambico qualcosa succederà a ….. Don Tonino mi domandò in pubblico: «A chi?» Risposi: «Anche a te!». Rispose: «Verrò da te! Beato te che vivi la tua esperienza cristiana con un popolo dilaniato dalla guerra e oppresso nei suoi fondamentali diritti. Porta Cristo-Pace e sii testimone del suo amore!»



Il suo impegno di vescovo, i tragici fatti del martirio dei nostri missionari a Inhassunge e l’avanzare della sua malattia gli impedì di realizzare il suo proposito.

L’ultimo incontro con lui avvenne nel suo episcopio, nella sua stanza a Molfetta, qualche giorno prima di morire. Tornavo dal Mozambico e atterrato a Bari i frati mi dissero che il mio amico don Tonino era molto grave.



Andai subito a Molfetta. Entrai nell’atrio dell’episcopio e vidi qualcosa di impensato: era uno stenditoio! L’episcopio tutto occupato dagli albanesi che lui aveva accolto. Furono i rifugiati che mi indicarono la stanza del vescovo. Mi ricevette. Soffriva. La malattia lo aveva consumato. Ci confessammo e ci confidammo.



Poi ad un certo punto i disse: «Grazie Francesco per essere venuto. Sei un regalo venuto da lontano. Lontano… dove avrei voluto vivere come il Signore ha concesso a te, per annunziare il suo amore per gli ultimi. Vedi, Francesco, avrei voluto morire ad Alessano la terra delle mie radici umane e cristiane.



Ma ho voluto ritornare nella mia diocesi dove per molti anni ho insegnato in piedi dalla cattedra. Oggi insegno dal letto del dolore con la vita, col dono di me per il mio popolo di cui sono pastore. Ma voglio ritornare col pensiero con te ancora ad Alessano… al convento dei cappuccini.



Ti ricordi? Là ci incontrammo per la prima volta. So che oggi avete poche vocazioni. So che state chiudendo qualche convento. Non succederà mai… ma se doveste chiudere tutti i conventi cappuccini in Puglia, l’ultimo dovrà essere quello di Alessano.



Quello è il mio convento. Là ho vissuto giorni bellissimi. In quel convento ho maturato la mia vocazione al sacerdozio. Quello è il mio convento!»

Fra Francesco Monticchio