Lontano senza vedere più il mio nido,
non sorrido, non amo più. Ma tornerò, tornerò…
Padre Edegar Silva Junior, missionario brasiliano, da circa quattro anni vive a Nangololo.
É il responsabile della missione e il testimone della sua distruzione … manda questa riflessione
Presso i fiumi di Babilonia. Lì ci siamo seduti e abbiamo pianto ricordandoci di Sion.
Qual’è il motivo della guerra nella regione di Cabo Delgado? É triste numerare i motivi e le regioni di una guerra. Si fa una guerra per ricuperare un territorio o per questioni tribali o infine per sconfiggere il sistema coloniale.
Alla guerra di Cabo Delgado non è stata data mai una spiegazione ufficiale. Le sue ragioni sono complesse e si possono trovare in motivi politici, economici e nella presenza del fondamentalismo religioso.
Ma le sue conseguenze sono davvero tristi. È triste vedere la sofferenza della povera gente che deve scappare, soffrire la fame, le malattie, la morte.
La gente di Cabo Delgado viveva in piccoli villaggi di contadini. Sono persone semplici che vivono secondo il ciclo della natura. Le case sono costruite con canna, paglia e fango, molte case sono coperte con la paglia, poche altre con lamiere di zinco.
Gli insorti attaccano tutti i villaggi, le case sono bruciate, le famiglie sono assassinate in modi brutali, ragazzi e ragazze sono rapiti.
Quando i villaggi sono attaccati alla gente non resta altra via di scampo se non la fuga verso la foresta o verso il mare.
Tutti cercano posti più sicuri. Si ripete la storia della fuga in Egitto della famiglia di Nazaret e il lungo tempo di un duro esilio come quello di Babilonia. Ora nei villaggi non c’è più il canto della gioia e la frenetica danza del mapiko. Le celebrazioni liturgiche sono tristi e meste.
Ora la gente cerca rifugio di fortuna o presso familiari e amici. Il concetto di casa è variabile: si tratta di capanne di fortuna o tende da campo. La gente vive ammucchiata in luoghi poco salubri. Ognuno si arrangia come meglio può.
Questa è la condizione di 700.000 rifugiati accomodati in molti campi di raccolta sparsi in tutta la regionale.
Tutta gente affamata e bisognosa che dipende dalla solidarietà e dagli aiuti umanitari.
Tempo di esilio. Sguardi tristi. Il giorno non passa mai. Non c’è terreno libero per coltivare la terra e produrre qualcosa.
Noi missionari non abbiamo parole. Il nostro compito è “stare-con”.
Oggi, più che mai, la nostra vocazione non è fare, ma stare con la gente.
Quando la gente arriva dopo una fuga disperata non si può fare altro che amare, vestire, curare proteggere … Con i bambini facciamo giochi e canti per aiutarli a sorridere e dimenticare….
I campi di rifugiati non riescono a spegnere la speranza che un giorno si potrà ritornare nella propria terra, la cui nostalgia è forte e fa guardare lontano.
Padre Edegar