RITORNO A NANGOLOLO
Arrivare a Nangololo è stato un viaggio lungo e faticoso. Ma la gente Makonde se lo meritava! Era uno degli obbiettivi da realizzare nella mia visita alla nostra missione del Mozambico. Non volevo ternare in Italia senza aver visitato la mia ultima missione: Nangololo. Vi avevo vissuto gli ultimi sei anni di vita missionaria.
Un popolo straordinario, il popolo Makonde. Mi aveva ricaricato dopo gli ultimi anni di secca vissuti in Zambézia. Non erano stati anni impossibili, ma sicuramente difficili.
La guerra civile che da almeno 12 anni ci chiudeva in un fazzoletto di terra, la sofferenza di non poter essere utile a nessuno, il senso dell’impotenza davanti alle impellenti necessità della gente e la percezione di vivere sempre esposti ad un imminente pericolo di vita (ricordo che in nove mesi di permanenza a Chinde per tre o quattro volte ho dovuto scappare davanti ai gherrilheiros)… tutta questa situazione mi dava un senso di inedia, di stanchezza del cuore, della fantasia, della mente!
Non che non si lavorasse, ma era come giocare a costruire un castello di sabbia sulla spiaggia. Una piccola onda ti portava tutto via. E spesso mi sorgeva dentro la domanda: fino a quando? ...
Fino a quando il vescovo di Pemba, Dom Januario Machaze Nhangumbe non offri' ai Cappuccini, tutti rinchiusi nella Zambézia, la antica missione di Nangololo, fondata nel 1924 dai frati Monfortini; chiusa nel 1962 a causa della guerra coloniale e riaperta dalle coraggiose suore della Consolata nel 1991. Mi offrii insieme a fra Giocondo Gaudioso da Mola di Bari e a fra Piergiorgio Armellini di Trento ad andare in questa missione di cui non conoscevo ancora l’esistenza!
Chissà perché. Mi innamorai presto della missione, del territorio, e specialmente del popolo Makonde: persone dignitose, eleganti, forti, accoglienti, discreti, amiche, simpatiche! Ne imparai la lingua discretamente. Ascoltando questa gente testarda parlare la sua lingua con me che non ne conoscevo neppure i suoni. Voleva che io l’ascoltassi, anche se non capivo nulla. A volte, quando avevano un problema pratico da risolvere, venivano con qualcuno che mi face da interprete. Ma quasi sempre venivano a parlare, parlare e parlare ancora …
Sembrava che volessero solo essere ascoltati, oppure volevano che le mie orecchie si abituassero a quei loro suoni e, alla fine, mi abituassi anche io a parlare capendo cio' che loro mi dicevano. Forse furono dei buoni insegnanti di lingua, sapienti pedagoghi che mi facevano registrare per poi ripetere le loro parole!
Puntigliosi nel correggermi se pronunciavo male, se accordavo tra loro parole e forme verbali che niente avevano a che vedere tra loro. Non mi lasciavano proseguire finché non avessi ripetuto correttamente suoni e cadenze fonetiche.
Se domandavo loro perché così e non cosi'? Un po’ seccati e scocciati, ma sempre col sorriso sulla bocca, mi rispondevano: la lingua Makonde è cosi'; lascia perdere il tuo chisena. Non ha niente in comune con la nostra lingua.
Per tutti questi motivi e per una infinità di altri più cristiani e/o caratteriali volevo andare a Nangololo. Dall’Italia ero programmato a questo. E fra Fortunato aveva cercato tutti i possibili modi di realizzarlo.
Partimmo il 19 febbraio alle tre del mattino. Puntavamo di arrivare a Nangololo in serata. Avevamo da percorrere 1250 Km! Ce l’ avremmo fatta dopo 16 ore di marcia!
Ormai le strade sono … buone! E poi… anche il telefonino ci dava una certa sicurezza, perché 5 Km prima e 5 Km dopo dell’antenna ci permetteva di comunicare con i preti e le suore di Nangololo.
Fra Fortunato aveva messo la sua jeep in officina per tre giorni. Tutto prometteva bene. Per scaramanzia portavamo con noi anche un ragazzo che, al dire di Fortunato, era un buon meccanico.
Ci attendevano una sessantina di chilometri di strada sterrata. Aveva piovuto e… continuava a piovere sul bagnato. Due e passa ore di sofferenza per la nostra jeep malandata, anche se, è proprio il caso di dirlo, aveva solo riposato tre giorni in officina!
Al primo aggiusta macchine che trovammo lungo la strada, ci fermammo per chiedere se aveva qualche vecchio bullone per una molla.
Il nostro meccanico, pazientemente eseguiva gli ordini di Fortunato e con qualche appunto sulle indicazione ricevute, riuscì, con tanta buona volontà, a mettere in sicurezza la molla. Un sguardo al radiatore, sempre assetato e al livello dell’olio del motore… e via.
Il mio primo incontro con la gente makonde: la domenica delle Palme 1992 (pero' il vescovo ci aveva presentati alla comunità il 19.03.1992, come missionari di Nangololo). Mi avevano chiesto di fare di tutto ad andarci. Vi arrivai con un aereo (la guerra civile impediva l’uso della macchina) due giorni prima. Portai con me l’inseparabile video camera. La celebrazione fu nella piazza del villaggio di Mwidumbe. Quanta gente c’era? 2000 persone? Impressionante! Confessai per ore. Quando tutto era pronto per cominciare la celebrazione, avevo indossato le vesti liturgiche, decisi di fare una zummata su tutta quella assemblea.
Cominciarono a cantare. L’emozione fu enorme. Mi tremava in mano la video camera. Fui scaraventato indietro nel tempo di circa trent’anni. Quando ancora, giovane frate, fu abolita la lingua latina nella liturgia e si canto' per l’ultima volta la bellissima antifona il giorno delle Palme: Pueri hebraeorum! Tutti loro la cantavanorigorosamente in latino sulle note della melodia gregoriana! Chi avrebbe mai immaginato qualcosa di simile?
Questa gente che da oltre trent’anni erano rimasti senza missionari, vissuti in zone di guerra, avevano conservato tutto quanto avevano ricevuto dai loro missionari!
Passai da solo in missione tutta la settimana santa. Dormivo nella casa delle suore, perché la casa dei missionari era ancora occupata dall’esercito. Avevo paura. Tutt’intorno era guerra civile. Pattuglie armate passavano e scorazzavano nell’area della missione. Era l’esercito regolare? Erano i guerriglieri della Renamo?
Il viaggio proseguiva a singhiozzi. Il tabellino di marcia stava saltando. Avevamo percorso solo metà dei chilometri col doppio del tempo previsto, viaggiando su strade ben conservate. Da Nampula a Nangololo ci aspettavano varie centinaia di chilometri di strade sterrate. All’improvviso scoppio' un temporale tropicale che a me abitualmente mi faceva guidare con più gusto. Ma pensando che eravamo tanto distanti dalla meta e che la nostra jeep non era affatto affidabile, mi metteva qualche preoccupazione.
Sotto un temporale scrosciante arrivammo nella cittadina di Chiure. Era notte. Ma la cittadina era tutta illuminata dalla energia che viene da Cabora Bassa. Ci dirigemmo nella missione locale. Pensavamo di trovare i missionari portoghesi dei Cucujaes. La missione era immersa nell’oscurità. Solo qualche lampadina smorta. Per risparmiare era ancora in uso l’impianto solare.
Ritornammo nella cittadina in cerca di una pensione. Si poteva mangiare bene. C’era la luce. La stanza sporchina, il bagno senza acqua: pazienza non si può avere tutto dalla vita! In missione i sacerdoti mozambicani ci avevano dato il contatto telefonico con i sacerdoti di Nangololo. Telefonammo. La gente ci aveva aspettato fino a tardi… Peccato! Ci demmo appuntamento per l’indomani.
Ci vollero ancora 6 ore di marcia per arrivare a Nangololo. Tutta l’attenzione era rivolta ai rumori strani della jeep.
La traduzione e la stampa dei 2 volumi di un catechismo aveva percorso trasversalmente tutti e sei gli anni di permanenza a Nangololo: il lavoro di una squadra di traduttori e poi di un’altra per una prima revisione e poi la revisione definitiva operata dai 200 e passa animatori che potevano leggere le prime copie ciclostilate dopo le tante, infinite ore passate sulla macchina da scrivere e un vecchio ciclostile. I due volumi furono stampati nel gennaio del 1998.
Il mio primo vero incontro col popolo makonde avvenne attraverso il progetto della Missione Popolare. Ricorrendo il 70° anniversario della fondazione della missione (24.11.1924-24.11.1994), si organizzo' una sorta di rievangelizzazione, aggiornamento e preparazione di tutti coloro che da anni aspettavano celebrazione dei sacramenti dal battesimo al matrimonio.
L a missione popolare duro' più di un anno e si concluse con una celebrazione in cui parteciparono il Nunzio apostolico, due vescovi tanti sacerdoti, il ministro della difesa, Alberto Chipande, un makonde (… poco doc, dal momento che aveva ceduto su una delle qualità dell’identità makonde: il senso dell’appartenenza alla propria cultura, l’essere cattolico, e l’appartenenza al partito del Frelimo. Lui non era più cattolico! Ma c’era!).
La Missione Popolare genero' un progetto che ha lasciato il segno: l’apertura di una scuola secondaria col nome di VIAKA SABINI (la scuola: 70 ANNI -dalla fondazione della missione). Oggi la scuola è cresciuta, si è trasferita in un nuovo complesso edilizio e raggiunge la 12ª classe, cioè l’intero iter scolastico, prima dell’accesso all’università.
Antonio Baccarelli, l’odontotecnico di Castellana Grotte, che ha rinnovato la dentiera ad un incalcolabile numero di persone.
Con lui ho condiviso, come si suol dire, acqua, casa, luce, lavatura e stiratura per due anni… ma più ancora sogni, progetti e la preoccupazione di una testimonianza cristiana nel cuore della comunità makonde!
Con lui la missione si arricchi' di uno studio odontotecnico e poi dentistico, di un studio fotografico e, per colmare la misura, della Radio S. Francesco d’Assisi.
Poi “laico chiama laico”… Per due volte sono venuti i coniugi Dorotea e Pino Colella, chiamati con un SOS tecnico. Come potevano funzionare i sogni di Antonio Baccarelli se l’abilità e la manualità di un ingegnere come Pino non avesse adeguato ogni macchinario a funzionare a 12 volt del nostro sistema energetico solare?
Mariarosa e Gianni Speranza per consulenza tecnica e operativa nella ristrutturazione della grande chiesa madre di Nangololo ed altre piccole-grandi cose che solo la loro operatività poteva realizzare.
Ma quanti ne son venuti ancora per respirare aria missionaria! Le giovani coppie in luna di miele per consegnare in mani africane il dono della loro festa non celebrato nei loro paesi, dalla prima Daniela e Rino, venuti insieme a Oronzo Monticchio all’ultima Gabriella e Michele!
A Nangololo Bernardino Sgobba, oggi provetto e generoso missionario laico in Mozambico e Albania, ha cominciato la sua esperienza missionaria, anche lui chiamato per dirci qualcosa sulla fattibilità dello sfruttamento dell’energia eolica e idrica… sogni!
Sogni… mentre stavamo salendo la rampa di Namakande che ci portava sull’altopiano makonde. Ormai si vedeva e si respirava aria makonde. Avevamo già telefonato varie volte quasi a cancellare l’insostenibile ritardo. La gente era in chiesa dalle sette. Erano le nove! fra fra |